Di consapevolezza, di web e di social: fra buone, false e cattive notizie.

Riprendo questo mio blog dopo un periodo di fermo, che mi ha visto coinvolto nello sviluppo di nuovi progetti. Lo faccio con un tema trasversale e anche un pò concettuale, sul rapporto tra web, social media, editoria, informazione e fake news dove ognuno di noi è in varia misura coinvolto sia come produttore di notizie sia come fruitore.

Traggo spunto da un interessante articolo apparso su “La Repubblica” del 18 dicembre 2017, che analizza il fenomeno delle fake news e da un libro fresco di stampa “Il crepuscolo dei media. Informazione, tecnologia e mercato.” di Vittorio Meloni.

Gran parte degli italiani oggi si informa sul web, e per una misura sempre crescente tramite i social media. Luogo aperto e democratico, fuori dalle possibilità di controllo, sul web e sui social viaggiano news e anche fake news che spesso si sovrappongono in un fluire tra news feed delle proprie bacheche social, condivisioni, visualizzazioni e like spesso infinito. Ma la rete come sappiamo è per sua stessa natura il luogo accessibile a tutti per eccellenza.

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Entriamo più nel dettaglio. Oggi buona parte degli italiani si informa tramite internet: il 63% tramite internet, il 17% tramite i  giornali di carta (indagine Demos-Coop, su La Repubblica del 18 dicembre 2017). Si consultano si i giornali, ma tramite internet. E i social con il loro traino diventano un crocevia importante per ogni comunicazione dal momento che monopolizzano la nostra costante attenzione.

Le informazioni e comunicazioni vengono diffuse in modo rapidissimo sui social e in modo im-mediato, cioè senza mediazioni e controlli. Il controllo c’è, ed è affidato alla rete stessa, un controllo di tutti pertanto.

Ognuno di noi può oggi introdurre notizie e informazioni in tempo reale, spesso difficili se non impossibili da verificare. E spesso prima che una informazione venga controllata è già stata condivisa e visualizzata. Si perchè a vincere è la velocità: la velocità di condividere, di far sapere agli altri. Le verifica se ci sarà, verrà dopo, domani, un altro giorno.

Questo meccanismo, non supportato da basi culturali e critiche per comprendere una affermazione falsa, da una oggettivamente vera, genera confusione, disinformazione, molto spesso “inganno”. Sempre l’indagine Demos-Coop   rivela come metà degli italiani abbia ritenuto “vera” una notizia letta su internet che poi si è rivelata falsa.

Allo stesso tempo circa il 34% ritiene internet il canale dove l’informazione circola più libera e indipendente. Il 44% dichiara di aver fiducia nella rete.

Ma la confidenza e l’utilizzo di internet se da un lato espone al rischio di cadere in fake news, dall’altro genera più facilmente meccanismi di autodifesa. Infatti se quasi metà del campione dichiara di essersi imbattuto in fake news, l’altra metà dichiara di averle riconosciute., sempre tramite il mezzo internet. Dunque il web stesso per i più connessi fornisce anche un antidoto. Il rischio maggiore di disinformazione è che notizie false si riproducano con altri media, ad es. la TV, il cui pubblico è meno “attrezzato” per riconoscerle. E in fase di campagna elettorale, il rischio di disinformazione, diventa sempre più grande. E controlli sempre più forti sulla “verità” delle news diventano sempre più urgenti.

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Come detto, e ben documentato nel libro fresco di stampa di Vittorio Meloni “Il crepuscolo dei Media – informazione, tecnologia, e mercato” (di cui in seguito riporto alcuni estratti), la libertà che ognuno di noi ha di partecipare direttamente alla creazione di notizie e informazioni, crea un clima di pseudo informazione e post verità.

Clima che non viene di certo difeso da solide basi culturali di gran parte di noi italiani. Il contatto con le informazioni è oggi, soprattutto nelle fasce più giovani, saltuario e discontinuo, frammentato e localizzato in piattaforme social e web. Pillole di notizie, frammenti, video, che non possono in molti casi essere definite notizie, e men che meno approfondimenti e letture utili a formare delle opinioni.

Il calo notevole di lettura dei quotidiani, genera un boomerang che ricade sulla produzione di notizie e approfondimenti delle aziende editoriali e di informazione, da anni in crisi nel modello di business.

Secondo indagini internazionali “solo il 20% della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura  e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea”. E sempre su comparazioni effettuate da studiosi quali Tullio De Mauro, circa l’80% dei nostri concittadini in età lavorativa non è dotato di effettive capacità di lettura, comprensione e calcolo e di problem solving. Ciò significa che buona parte degli italiani non sono in grado di comprendere addirittura il senso del titolo di un quotidiano. Per non parlare di editoriali o articoli di approfondimento.

Dicevamo della crisi dell’editoria tradizionale, dove molto spesso i numeri in termini di visite ai siti web, visualizzazioni e condivisioni nell’arena social la fanno da padrone, ma questo modello basato sui click non riesce in Italia a raccogliere ricavi significativi per sostenere da solo un comparto. E tutto ciò che è a corredo di una notizia o almeno di una delle tante pillole informative (video, gallerie fotografiche, pubblicità inserita tra gli articoli) che serve a far numero, a fare visualizzazioni e click serve per avere un senso in termini pubblicitari, visto che molti degli utenti solo spesso sul web non per approfondire ma per curiosare. Dunque i siti e portali informativi diventati per molti la sola porta di accesso all’informazione in modo gratuito (condito con video, testimonianze, foto, social, ecc) hanno un mercato di dimensioni gigantesche ma povero di soddisfazioni economiche. Purtroppo le aziende editoriali sono oggi alla ricerca di un nuovo e sostenibile modello di business come ben documentato da Vittorio Meloni nel suo libro.

Stando inoltre alle tendenze attuali della raccolta pubblicitaria, il web con i motori di ricerca e i social entro 5 anni, assorbiranno più del 50% del mercato superando la raccolta della TV e degli altri mezzi giornali inclusi.

Il flusso dei contenuti oggi è sempre più in trasferimento sui social media. punto focale della vita degli utenti di smartphone la cui diffusione sempre più imponente cannibalizza la nostra attenzione e diventa lo schermo diffusore tramite i social media di news, contenuti, pubblicità.

La rete diventerà così il più grande media e canale pubblicitario del mondo. Si stima che entro il 2019 gli investimenti pubblicitari destinati ai social media cresceranno del 72% pari al 20% di tutto l’internet advertising. Sui social ormai è diretta gran parte della nostra attenzione. I nostri devices diventano lo specchio sul mondo della nostra vita.

News, foto, video, commenti, pubblicità, confluiscono nell’universo social, dove ci sentiamo protagonisti e nel quale in realtà siamo un target profilato qualitativamente per ricavi pubblicitari e fatturati altrui. Questo genera profonde trasformazioni nella catena di produzione delle informazioni. Il giornalismo e l’editoria si è sempre basato come una industria sulla selezione, creazione di notizie e informazioni, usufruendo di professionalità tali per impacchettarle e farle arrivare a destinazione.

Oggi i canali social non sono solo un canale distributivo, ma diventano essi stessi dei media, degli editori. Diventano essi stessi luogo di orientamento di milioni di persone. Il luogo “virtuale” dove transitano e dove è calamitata per gran parte del giorno e della notte la nostra attenzione.

Ma la produzione di contenuti di qualità, è fatta di competenze, approfondimento, studio, capacità di raccogliere informazioni, capacità di scrivere e verificare le fonti.

E ognuno di noi in un’epoca di protagonismo di massa in cui si sente editore, grazie alla disintermediazione, può essere la fonte di notizie e informazioni che si mescolano in un flusso indistinto che attecchisce e genera orientamento. 

C’è una intera umanità digiuna dei canoni del giornalismo che aspira a parlare sui social e lo fa senza intermediari. Spesso con una familiarità con la lingua scritta appena accettabile e, ancor più frequentemente, con una cultura di base a dir poco inadeguata a capire la profondità degli argomenti che si vorrebbero trattare in un post. Però è con questa nuova massa di scrittori per caso, che si esprimono in libertà e non si curano più di tanto degli effetti delle loro esternazioni che bisogna interloquire. (cit. “Il crepuscolo dei media”.)

La Repubblica 27 agosto 2017

La Repubblica 27 agosto 2017

Oggi ognuno di noi, ogni individuo che pubblica su una piattaforma social un contenuto diventa un editore di se stesso, senza l’antica mediazione fatta di sudore e studio e verifica delle fonti giornalistica. Sui social non c’è un giornalista che seleziona e soppesa il valore di una notizia. Ma una massa di utenti attivi pronti a commentare, condividere farsi un’idea. Il tutto in tempi rapidissimi. Senza verifica.

Questo meccanismo da a tutti la possibilità di infiltrarsi e iniettare dosi di notizie false o verosimili, facendo leva spesso su titoli foto e video che diventano un mix di rabbia e frustrazione. Col web diminuisce l’importanza affidata ai fatti, facciamo di più leva sulle emozioni.

L’accesso istantaneo a tutte le voci che ribollono nello scorrere infinito e indistinguibile di verità e invenzioni, fa si che i fatti oggettivi siano meno influenti, nel formare la pubblica opinione, dell’appello alle emozioni e al proprio credo personale.” (Il Crepuscolo dei Media).

Nulla di male in tutto ciò prosegue Meloni, siamo sempre stati attratti da divertimenti, gossip, notizie leggere, pseudo verità, da racconti semi-seri.

Il problema nasce quando queste modalità invadono stabilmente il campo delle informazioni e si trasformano nel linguaggio magico che occupa sempre di più lo spazio della realtà. E immersi come siamo nel magniloquente magazzino di notizie e di conoscenze della rete, è facile perdersi.

Questi sono sono alcuni dei “dilemmi” che emergono oggi di fronte a una informazione sempre più liquida, per usare un termine caro al compianto Zygmunt Bauman.

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